Intervista a Luca Cecioni
Il senso intimo della dissolvenza
Intervista a Luca Cecioni
Cosa sono per noi gli spazi che attraversiamo o in cui viviamo? In quale relazione si pongono con il nostro corpo, e quest’ultimo con loro?
Luca
Cecioni, fotografo e pittore, nel suo lavoro si interroga su questi temi,
attraverso immagini di potente impatto visivo, e in cui i soggetti emergono in
superficie spesso privi di definizione o di equilibrio, proponendosi in un
divenire che ne stempera i contorni.
Sono
felice che l’artista si sia raccontato, nell’intervista che segue.
Il tuo
percorso artistico ha preso le mosse dalla fotografia, che continui a
coltivare. Come è avvenuto, in seguito, il passaggio alla pittura?
Penso che nell'immagine impressa su pellicola ci
sia qualcosa di magico: una certa imprevedibilità, la scoperta inattesa e la
conseguente possibilità di sperimentare sono tutti elementi che la rendono
unica. Dopo i primi tentativi, con strumenti limitati, ho cominciato ad
approfondire l'uso e le potenzialità del mezzo durante gli studi universitari
in Giurisprudenza. In una vecchia cucina dismessa, mi sono costruito una
piccola camera oscura, uno spazio di libertà creativa dove trascorrere notti
intense. Il passaggio alla pittura è stato per me un processo per certi versi
naturale e logico, dettato dal bisogno di esprimere la mia dimensione creativa
senza i limiti imposti dal mezzo. La pratica della pittura - parallelamente
all'esercizio della professione forense - mi ha dato la possibilità di imparare
sbagliando, ricercando nuovi territori da esplorare, senza autocompiacimenti,
condizionamenti e vincoli, e mi ha permesso di trovare la mia voce, un
linguaggio che mi appartiene e mi rappresenta.
©Luca Cecioni
Come nei
tuoi dipinti, protagonista di molte tue immagini è il corpo - soprattutto il
tuo. Un corpo che si espone nella sua nudità e al contempo privo di
definizione, di confini, quasi un corpo liquido. Questa sfocatura imprime
movimento alle immagini (mi ricordano un po’ “Dinamismo di un cane” di Giacomo
Balla). Cosa si nasconde dietro a questa scelta iconografica?
La scelta di usare il mio corpo
nelle fotografie, la mia nudità - in generale di rivolgere l'obiettivo su me
stesso - risale a pochi anni fa. In precedenza il mio soggetto preferenziale
era l'altro: i paesaggi, le nature morte, il ritratto. La fotografia
soddisfaceva il mio bisogno di scoperta, di sperimentazione, di interpretazione
del mondo. Durante i miei “viaggi” notturni in camera oscura, cercavo di
riportare alla luce quell'immagine presente nella mia mente al momento dello
scatto, la pre-visualizzazione che è così importante - il grande fotografo
americano Ansel Adams ne è un esempio mirabile – e la capacità di guardare
nello stesso modo dello strumento.
Il passaggio all'autoritratto è
coinciso con un particolare momento nella mia vita, in quanto mi ero da poco
trasferito nel mio attuale studio. Si trattava di un ambiente vergine, senza
tracce, senza segni che potessero sostenermi o condurmi su un rinnovato
percorso creativo. Per me - ma credo sia un'esperienza condivisa anche da altri
artisti - cambiare ambiente lavorativo rappresenta una sorta di reset, un
rimettere in gioco le carte, un distaccarsi da quanto fatto fino a quel
momento. Si diventa un po’ orfani di sé stessi. L'autoritratto ha aperto una
nuova porta. Fotografarsi è stata un’esperienza determinante, ha riacceso le
mie capacità percettive. Nel duplice ruolo che si interpreta – di soggetto e
oggetto – vi è una dissociazione, un allontanamento, ma allo stesso tempo anche
una certa consapevolezza, una presa di coscienza, una sensazione di esistenza.
In un lasso di tempo relativamente breve, ho realizzato molti scatti: alcuni
sono diventati lavori compiuti; altri li ho lasciati decantare e - successivamente riscoperti e rielaborati - sono risorti postumi. Uno degli
aspetti tecnici che amo della fotografia e che trovo estremamente stimolante
dal punto di vista creativo, è l'uso dei tempi di esposizione lunghi, il
registrare un lasso temporale esteso che colga l'essenza delle cose, una sorta
di estratto concentrato del movimento, della vita. La minor definizione che ne
deriva, l'indeterminatezza lascia in chi osserva uno spazio di ricerca, di
identificazione, consentendogli – forse - una partecipazione per certi versi
più intima, anche una forma di immedesimazione.
Anche
nei tuoi dipinti, i corpi hanno una rilevanza notevole all’interno dello
spazio, forse ne sono il focus. Mi sembrano corpi privi di identità – il loro
volto è spesso una maschera vuota, senza occhi, senza bocca, e dai contorni
sfuocati - e sono circondati da ambienti e oggetti con cui sembrano non avere
alcuna relazione. Le loro pose - talvolta accasciate, talvolta sedute o distese
- trasudano una certa passività, una mancanza di equilibrio o
addirittura una certa dose di violenza. In questo il tuo lavoro mi ricorda
quello di Francis Bacon, col suo prediligere l’attenzione al corpo nella sua
anatomia che però sfuma nella deformazione e nell’indefinibile. Vuoi parlarci
di queste tue scelte?
Nei miei dipinti, gli interni hanno sempre avuto un ruolo
fondamentale, sono co-protagonisti insieme alle figure che li occupano. Il
lavoro di fotografi come Ralph Eugene Meatyard, Bill Brandt, Gregory Crewdon,
quello di registi come Kubrik - con il suo uso dell’obiettivo grandangolare - e
come Lynch, ma soprattutto di artisti come Hopper e, ovviamente, il citato
Bacon, così come le foto d'epoca di ambienti familiari o estranei, di hotel o
motel, fanno tutti parte del mio Dna artistico, sono l'humus del mio fare arte.
Frame dal film “Velluto blu”
di
David Linch, 1986
Portrait of a young girl
di Bill
Brandt, 1955
Noi passiamo gran parte della nostra esistenza dentro a spazi che sono come scatole, e sono pregni di noi, delle nostre emozioni, dei nostri sentimenti, dei nostri pensieri, sia che si tratti di luoghi domestici, sia che si tratti di ambienti alieni, come le stanze di un motel dove le vite scorrono ininterrottamente.
© Luca Cecioni
Me and the night
© Luca Cecioni
La mia scelta iconografica parte
da questa dimensione: coloro che permangono all'interno di questi luoghi
lasciano una traccia, una impronta del loro passaggio, dove l’oblio getta un
velo sulla identificazione, sul recupero della memoria. Come in certe fotografie
sbiadite, dove il soggetto (autoritratto?) si dissolve, si sfoca, ogni
componente, ogni dettaglio illustrativo viene meno, e l'essenza è ciò che
rimane. Anche ogni possibile narrazione è soltanto evocata, si percepisce solo
un rumore di fondo che richiama momenti, attimi, relazioni, intimità.
Nel mio lavoro non uso mai
bozzetti o lavori preparatori - i disegni sono un mondo a sé stante, un diario,
un dialogo interiore. A volte uso poche linee e segni, come riferimenti, ma la
stesura del colore, la costruzione del quadro avviene in maniera apparentemente
casuale, lasciando che la figura - fluttuante nel mio inconscio - appaia sulla
tela, si riveli, cogliendomi di sorpresa. In questo senso mi sento un tramite,
come uno sciamano, che con un lasco controllo lascia fluire gli stati interiori
che si coagulano sulla superficie pittorica. Tra questi, la malinconia è un
ospite fisso.
No words
©Luca
Cecioni
I suoi
segreti
©Luca
Cecioni
La gamma
di colori che scegli è estremamente raffinata. A cosa ti ispiri in questo?
Le foto d'epoca citate nella
precedente risposta - in particolare le atmosfere, i colori degli anni
Cinquanta, insieme ai relativi arredi - sono per me la fonte primaria di
ispirazione. L'apparente clima rassicurante di quegli ambienti dissimula
un’inquietudine di fondo, una celata conflittualità, che si confà alle mie
dinamiche artistiche.
Inverso
© Luca Cecioni
Kiss Me
© Luca Cecioni
Tu vivi
in Versilia, un luogo che da molti anni sembra essere diventato un magnete per
artisti e galleristi. In particolare la tua città, Viareggio, ospita la GAMC,
con la sua splendida collezione di opere di Lorenzo Viani. Un luogo che
potrebbe ospitare mostre di autori storicizzati, da un lato, ma anche far
conoscere gli artisti del territorio o quelli che lo frequentano. Cosa pensi
della situazione dell’arte contemporanea, nella tua zona e in generale in
Italia?
Adoro Viani, un artista
straordinario, purtroppo sottovalutato a livello internazionale. La sua opera
non è da meno rispetto a quella di artisti più famosi - mi viene alla mente il
norvegese Munch, ad esempio. Sicuramente la GAMC potrebbe essere un luogo
idoneo per presentare e valorizzare il lavoro di artisti residenti sul
territorio, considerato che questa operazione è già stata fatta in passato per
artisti domicilianti altrove. Credo che ci siano ostacoli politici e culturali. A livello nazionale, riscontro un sincero
interessamento per il lavoro degli artisti italiani. In questo, le piattaforme
social sono un supporto imprescindibile di conoscenza, anche se, a mio avviso,
questa attenzione sfocia in un concreto coinvolgimento con difficoltà: c'è poca
attitudine ad investire sul nuovo, si preferisce coltivare l'orto che si è
creato, una comfort zone con minori rischi.
Cosa si potrebbe fare, secondo te, per
uscire da questa comfort zone? Quali atti concreti potreste fare voi
artisti? E in questo senso, esiste collaborazione fra voi?
La collaborazione tra artisti è
difficile per molteplici fattori, come la mancanza di tempo, la distanza
geografica, la competitività, le differenze di opinioni e di stili artistici.
Oltre alle già citate piattaforme social - che sicuramente offrono la possibilità
di connettersi con altri artisti, di condividere il proprio lavoro e trovare
nuove opportunità di collaborazione - ci sono altre realtà interessanti, come
gli studi aperti, i workshop e i numerosi programmi di residenza artistica,
dove gli artisti possono incontrarsi, lavorare insieme e creare nuovi progetti.
Personalmente trovo particolarmente
stimolante la possibilità, ove se ne presenti l'occasione, di una
collaborazione con artisti di altre discipline come scrittori, musicisti o
fotografi: le differenti prospettive possono scaturire in progetti interessanti.
Quando artisti diversi si ritrovano, la loro sensibilità e le loro visioni
creano un terreno fertile di contaminazione reciproca, generando una alchimia
che può portare a risultati sorprendenti e inaspettati.
Laureato in Giurisprudenza, Luca Cecioni
vive e lavora a Viareggio. Ha ricevuto numerosi riconoscimenti nazionali e
internazionali, tra cui il Premio Arte Mondadori 1998 (finalista), Arte Award
2000 (finalista), vincendo il Premio Celeste 2008 (voto on-line), il Celeste
Prize 2011 (finalista), Premio Terna e il Premio Combat (2016-artista segnalato
dalla giuria).
Ha partecipato a numerose mostre, tra cui il “Viadarte” Pietrasanta 2002, “En
Plein Air” Bormio (SO), Chiostro di S'Agostino-Pietrasanta, Fabbrica Borroni
Milano 2008, The invisible Dog Art Center di Brooklyn NYC 2011, Garage Bonci
"Face to Face" 2013 Pietrasanta, “The Summer Art Project” Foley
Gallery NYC 2014, “Trascorrenze” ex convento delle Clarisse Massa Marittima
(GR) 2017, “Lab(b)roni(ri)ca” Fortezza Vecchia Livorno 2017, “Rifrazioni
dalla Memoria” palazzo Marigliano Napoli 2017, “Immenso” tributo a Giordano
Bruno, C23 Homegallery - Accademia Belle Arti di Nola (NA) 2018/19. Lucca
ARTFAIR 2019. “INSTABiffiarte” Galleria Biffi Arte, Piacenza 2022, "INVENTARIVM"
Reial Cercle Artistic Barcelona 2023, L'Arca degli Esposti Palermo 2023.
www.instagram.com/lucacecioni/