Intervista a Alla Chiara Luzzitelli I parte
Luce, candore, liberazione
L’arte di Alla Chiara Luzzitelli
Intervista a cura di Camilla Ugolini Mecca
I parte
©Alla Chiara Luzzitelli
A dispetto di tutto ciò che si dice dei social – abusati, idolatrati o condannati che siano – ho scoperto il lavoro artistico di Alla Chiara Luzzitelli – in arte Alicka – attraverso il suo profilo Istagram. La sua foto nel profilo - colta in una posa al limite dell’equilibrio - mi ha ricordato la figura femminile dell’Arcano del Mondo: una donna quasi in procinto di danzare, con un baricentro stabile, nonostante si atteggi a funambolo.
Dai lavori dell’artista,
traspare una grande delicatezza e insieme una forza potente che mi hanno
profondamente attratta.
Le ho proposto quindi di
raccontarsi nell’intervista che segue.
Il tuo percorso artistico
nasce nell’adolescenza con la fotografia. La tua prima mostra fotografica si
intitolava “Come le persone non vorrebbero mai mostrarsi”. Il
titolo è davvero interessante. Puoi raccontarci di questo progetto?
Il
progetto fotografico intitolato "Come le persone non vorrebbero mai
mostrarsi" è emerso circa dieci anni fa. L'intento era quello di creare una
serie di dieci ritratti di persone – comuni ma anche artisti - con le quali non
avevo un legame personale significativo e che conoscevo solo superficialmente.
La motivazione alla base di questo progetto è stata la mia volontà di narrare
le fragilità umane, offrendo un momento di condivisione emotiva attraverso
l'arte della fotografia. Sul set fotografico, ho dedicato del tempo a ciascun
soggetto e questo approccio mi ha consentito di instaurare una connessione
autentica con ognuno, comprendendo le sfumature necessarie per catturare i
ritratti in modo significativo. Attraverso l'esplorazione delle emozioni di
persone che, in molti casi, erano estranee alla mia vita quotidiana, ho
acquisito una consapevolezza profonda sulla sottile interconnessione - che
tutti noi condividiamo - nel modo in cui percepiamo e affrontiamo le diverse
sfaccettature emotive. Il progetto si è rivelato un'esperienza emotivamente
intensa, fornendomi un riflesso delle emozioni altrui e alimentando una
connessione interiore che ha permeato l'intera opera.
Nelle tue fotografie, nei tuoi
video, il tuo corpo, le tue pose, le sue movenze, sono il perno del racconto.
In un momento storico in cui molte persone vogliono essere spettacolo, in
un’estenuante esibizione di sé che però è assolutamente fine a sé stessa, al
contrario la tua presenza, pur così intensa, sembra rimandare sempre ad altro.
È come fosse un invito e insieme la possibilità di una narrazione emotiva
autentica di ciò che va oltre i confini del corpo, senza filtri o maschere.
Puoi dirci qualcosa su questo?
La
necessità di mettere in scena uno spettacolo - sia per noi stessi che per gli
altri - mi porta a riflettere sul concetto espresso ne “Il ritratto di Dorian
Gray”. Nell'ambito della fotografia e del cinema, così come nella poesia, vedo
un continuo scambio di dare e ricevere, a volte con pretese e altre senza.
Ritengo che un corpo non possa esistere soltanto per rappresentare sé stesso:
deve essere inevitabilmente collegato e connesso ad altro, ad uno spazio, a
un'emozione, a un aggettivo. La connessione è essenziale per comunicare, è un
bisogno profondo che permea diverse forme d’arte. Rispondere a questa tua domanda
è complesso, perché coinvolge diverse categorie artistiche, sia visive che
letterarie. Nell'ambito della fotografia, ad esempio, non posso ignorare il
contesto circostante, perché tutto è interconnesso. Il corpo è parte integrante
di questo processo, così come lo è lo spazio circostante. Quando mi sposto in
uno spazio fotografico, sento il dovere di attribuire significato anche agli
elementi che mi circondano. È come se fosse un impulso inarrestabile, simile a
una palla che - una volta messa in discesa - continua a rotolare sempre più
velocemente a causa della forza di gravità. Non posso tirarmi indietro, e il
corpo è una componente cruciale di questo processo, in connessione costante con
lo spazio. È vero che, per l'occhio umano, la concentrazione visiva si
focalizza sul soggetto, poiché i neuroni specchio ci spingono a riconoscerci
attraverso l'osservazione. Tuttavia, il resto dell'ambiente diventa un contorno
essenziale. Cos'è un corpo in uno spazio? La risposta può essere interpretata
in mille modi. Posso solo affermare che attraverso le mie gestualità cerco di
mostrare ciò che non appartiene solo a me, seguendo un approccio simile ai
dipinti del Neoclassicismo. C'è una necessità di esporre ciò che di solito
rimane nascosto, come se si trattasse di svelare un velo sottile di verità in
una società talvolta dominata da materialismo.
Nei miei autoritratti iniziali, ho spesso optato per vestiti dai colori scuri e neutri. Questa scelta non è casuale: il colore nero, in particolare, ha avuto un significato profondo nella mia adolescenza e rappresentava un periodo della mia vita in cui ho trovato una connessione personale con quel colore. Indossare abiti scuri mi permetteva di mettere in risalto lo spazio circostante, conferendogli maggiore importanza.
A 20
anni, ho sperimentato un profondo cambiamento interiore che ha ispirato la
creazione del mio album di poesie, "Procédure de Liberation". Questo
periodo segna una svolta significativa, in cui il colore nero, che aveva
dominato la mia espressione artistica, è stato sostituito dal bianco. Questo
cambio cromatico simboleggia la ricerca di una luce interiore, di una
liberazione personale, e rappresenta un invito alla riflessione e alla
leggerezza. Questo processo ha trovato la sua espressione anche in un
cortometraggio derivato dall’album. Il bianco, per me, è diventato un colore
sacro, che incarna la necessità di una liberazione personale e di una luce
interiore. Durante il mio viaggio di scrittura e interpretazione, durato due
anni, ho deciso di consacrare la mia liberazione attraverso il simbolismo del
bianco. Questo colore rappresenta la purezza, la leggerezza e una nuova
consapevolezza, indicando un passaggio da una fase più oscura a una più
luminosa della mia vita e della mia espressione artistica.
Frame da “Procédure de Liberation”
© Alla Chiara Luzzitelli
In “Procédure de Liberation”, i tuoi testi poetici sono in francese. Altrove hai scelto l’inglese. Come nasce la scelta della lingua con cui scrivi e interpreti i tuoi scritti?
La scelta della lingua, in questo caso il francese, è stata guidata dalla necessità di comunicare con delicatezza e serenità, soprattutto in testi come "Petit Joie" e "Cher temps". Il francese, con la sua fonetica morbida, mi ha offerto un mezzo espressivo che trasmetteva non solo il significato delle parole, ma anche la consapevolezza e le sfumature emotive presenti nei miei versi. Volevo che l'ascoltatore percepisse ogni mia intenzione attraverso il racconto, come se si stesse svolgendo una conversazione diretta, quasi come se qualcuno parlasse attraverso la cornetta del telefono a una persona lontana. L'inglese - con la sua fonetica più tagliente e acuta - è stato scelto deliberatamente per la narrazione delle storie, creando un'atmosfera simile a quella delle fiabe. Questa lingua mi ha fornito uno strumento per trasmettere le mie intenzioni in modo vivido e coinvolgente, proprio come quando si raccontano storie incantevoli. Volevo che l'ascoltatore fosse trasportato in un mondo di narrazione, dove la chiarezza e la nitidezza delle parole contribuissero a creare un'esperienza coinvolgente e incisiva.
In alcuni tuoi video – come il meraviglioso “The heart among the nettles” - esplori il contatto tra uomo e donna, la relazione dei corpi silenziosa ed intensa come una danza, il loro tentativo di trovare un equilibrio, attraverso l’esperienza reciproca del tatto, dello sguardo e insieme della natura. Trovo che questi video siano poesie in movimento, viaggi in qualcosa di estremamente misterioso e segreto….
"The heart among the nettles" è nato spontaneamente e si è sviluppato nel corso di
una giornata intensa e creativa. Ho sentito il desiderio di collaborare
nuovamente con il mio amico ballerino Riccardo Ardusso, che già aveva
partecipato al cortometraggio "Procédure de Liberation". In questa
piccola storia, il focus è sul rapporto tra dare, reagire e ricevere. La danza
è stata improvvisata sul momento, senza una coreografia precedentemente
studiata, e l'assenza di organizzazione formale ha contribuito a creare uno
spazio asettico. Nonostante ciò, la nostra connessione e la chimica nei
movimenti sono diventate la guida per la performance. La definirei quasi una
reazione a catena, dove la coesione si sviluppa naturalmente quando due corpi
si trovano in sintonia e si muovono insieme con una sorta di improvvisazione
strutturata. La dinamica tra me e Riccardo durante la performance è stata
guidata da una profonda comprensione reciproca e da una chimica innata nei
nostri movimenti. Senza una coreografia predefinita, abbiamo reagito l'uno
all'altro in modo spontaneo, creando una sorta di dialogo corporeo. La coesione
si è manifestata come una risposta naturale alla nostra connessione,
trasformando l'improvvisazione in una performance di significato e profondità.
To
be continued…
Alla Chiara Luzzitelli,
in arte Alicka, è nata il 16 maggio 1998 a Litpetzk, in Russia. Ha vissuto per
otto anni in orfanotrofio prima di essere adottata dalla famiglia italiana
Luzzitelli, con la quale si è trasferita a Torino. Inizia la sua carriera
artistica nell'adolescenza quando, in occasione di Paratissima 2014 - l'evento
artistico annuale di Torino - presenta il suo primo progetto fotografico,
intitolato "Come la gente non vorrebbe mai mostrarsi". Grazie a
questa esperienza, l'artista ha l'opportunità di conoscere diverse personalità,
tra cui il critico d'arte Giorgio Bonomi, con cui realizza un progetto
sull'autoritratto, esposto in modo permanente nella Galleria Musinf di
Senigallia. Negli anni successivi partecipa a diverse mostre, tra cui quelle
presso le gallerie Satura (Genova, 2014) e Crivelli (Bergamo, 2015); poi alla
Biennale di Genova 2015 Expo Intl contemporary art, vincitrice del Premio
Artista Emergente, Paratissima Torino 2015, Genova ART Expo 2016. Negli stessi
anni studia fotografia e grafica all'istituto "Albe Steiner" di
Torino e lavora come fotografa a Milano per diverse agenzie. Si diploma nel
2019. Durante l'adolescenza continua a sviluppare la sua scrittura attraverso
poesie che verranno pubblicate solo nel 2022, anno in cui decide di scrivere
una raccolta di nuove poesie unendole a quelle scritte in precedenza. Dopo il
liceo, inizia gli studi di cinematografia a Torino, specializzandosi in regia.
con Gianni Amelio. Nel 2019, in collaborazione con il compositore Mattia Vlad
Morleo, ha realizzato un album di poesie intitolato “Procedura di Liberazione”,
da cui ha tratto un cortometraggio che le è valso il premio “Lorenzo il Magnifico,
il secondo posto alla biennale di Firenze e la partecipazione a cinque festival
cinematografici internazionali.
Nel 2022 sente il bisogno di dare finalmente spazio ai suoi
scritti, e inizia così la stesura della raccolta poetica “Otto Betulle”, titolo
che deriva dalla sua infanzia e dal numero di anni vissuti nel paese d'origine.
Infine, ha vinto il premio "Lorenzo il Magnifico" per il
cortometraggio "Otto Betulle" alla Biennale di Firenze 2023.
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https://www.europaedizioni.com/prodotti/otto-betulle-alla-chiara-luzzitelli/