Intervista a Chiara Maini - Voci di un angelo padano
Dalle statistiche recenti, sembra che le persone che leggono in Italia siano progressivamente diminuite negli ultimi anni. Si pensava che certe buone abitudini coltivate in pandemia sarebbero rimaste vive: in realtà è accaduto che chi già leggeva, abbia semplicemente proseguito, leggendo anche di più.
I lettori nel nostro
Paese, insomma, appaiono come una specie anomala, in via di estinzione. Si
stanno trasformando quasi in una confraternita di Carbonari, che si fiutano a
distanza di chilometri e si consigliano i titoli nel buio delle community, in
quel mondo variegato che è il web.
È stato proprio mentre
navigavo svogliatamente tra i profili Instagram che ho scoperto quello di Chiara
Maini, con le sue letture ad alta voce. Nei suoi microfilm, Chiara legge
brani dei testi che ama, che l’hanno appassionata, reinterpretandoli con la sua
voce un po’ roca, quasi stupita, combinata ad un volto senza tempo. Ma nei suoi
video non appaiono soltanto i libri e il suo primo piano: ci sono costumi,
piccole scenografie, musiche raffinate, luoghi antichi e dimenticati. Contesti
che ci invitano ad entrare nei testi proposti e ad abitarli.
E poi c’è il vasto mare
d’erba della bassa parmense, con i suoi canali e i casolari vuoti, pronti ad
essere riempiti di sogni.
Ho seguito il lavoro di
Chiara Maini per più di un anno, e alla fine le ho proposto un’intervista. Ecco
il suo racconto.
Da cosa è nata l’idea
delle “letture ad alta voce”?
Ho sempre amato molto leggere. In particolare, ci sono autori che hanno
segnato profondamente la mia anima: con loro sono cresciuta, ho sofferto, le
loro parole hanno dato forma al mio sentire. Queste grandi menti sembravano
provare quello che provavo io, durante le varie fasi della mia crescita. Quando
poi ho avuto i miei figli, il mio primo desiderio è stato quello di leggergli
ad alta voce i più grandi romanzi della letteratura per ragazzi. E così la sera,
prima di dormire, per tanti anni ho realizzato per loro delle piccole
rappresentazioni teatrali: io completamente immedesimata nei vari personaggi, e
loro con orecchie e occhi aperti, pronti ad emozionarsi e a lasciarsi
trasportare.
Quando i figli sono cresciuti, ho cominciato a leggere nelle
biblioteche e nelle scuole materne e l’ho fatto per diversi anni. I
bambini hanno seguito sempre con interesse le storie che leggevo. Con gli
adulti ho avuto meno esperienze di letture dal vivo, ma anche in quel caso hanno
avuto successo.
Poi sono arrivati gli anni del Covid, il boom della condivisione online, e
allora mi sono avvicinata ad Instagram, ai canali che parlano di libri, che
pubblicano foto di copertine e suggerimenti letterari di ogni tipo. Da lì è
maturata l’idea di provare a parlare di libri alla mia maniera, leggendo ad
alta voce, ma con l’idea che la mia non fosse una semplice voce, ma uno
strumento per esprimere tutto il mio essere.
La tua creatività si
esprime in modi estremamente versatili, in cui anche le scenografie, le
dissolvenze e la musica hanno un peso importante. Eppure nella tua pagina Instagram
ti definisci ‘pittrice’ e in alcuni post compaiono alcuni tuoi dipinti. Perché
hai scelto di definirti in questo modo?
Mi definisco ‘pittrice’ perché il mio lavoro artistico nasce come lavoro
pittorico. Ho frequentato l’Accademia di Belle Arti di Urbino, pensando che
fosse quella la mia strada. Poi - finiti gli studi - la mia vita ha preso un
altro corso, per cui ho deciso, con grande sofferenza, di appendere i pennelli
al chiodo e di dedicarmi ad altro. Mi piace però mantenere l’appellativo di ‘pittrice’ per
ricordarmi da dove sono partita e perché in fondo quell’anima artistica,
quella sensibilità pittorica rimangono sempre dentro di me.
I tuoi video presentano alcuni elementi ricorrenti: uno di questi è il telefono. Un telefono di vecchia foggia, di bachelite nera, oppure il famoso telefono grigio della Sip. È un elemento che mi sembra più collegato al tema dell’attesa che alla comunicazione. E l’attesa è un filo che attraversa molti dei tuoi racconti…
Sì, l’attesa… Sono una persona
che - nonostante non sia più giovanissima - attende ancora il suo riscatto.
Gli oggetti che più rendono quest’idea sono un telefono che chissà mai se
suonerà; un’astronave di cartapesta che mai decollerà; un paio d’ali finte,
completamente inadatte al volo. E antenne che captano messaggi da uno spazio
troppo lontano.
Quel mio appendere i pennelli al chiodo tanti anni fa, quella rinuncia alla
mia vocazione artistica, al creare, hanno segnato tutta la mia vita. Da allora
mi sono sempre sentita un pesce fuor d’acqua, un essere infelice, un Icaro
caduto inesorabilmente a terra con ali troppi deboli. Non sono più riuscita a
scegliere e mi sono aggrappata alla mia anima bambina, senza più voler
crescere. Ma dentro di me la belva creatrice ha continuato a battere, a vivere,
a bruciarmi l’anima - nonostante io cercassi di rinnegarla. Poi sono arrivate
queste letture ad alta voce e qualcosa sono riuscita ad esprimere…
Hai citato la figura di Icaro… Un altro tema ricorrente è proprio quello del volo. Gli angeli, Icaro appunto, le prove di volo. E la casa rurale immaginata come un’astronave. Puoi dirmi qualcosa su questo tema?
Icaro è un angelo mancato e io mi sento come lui. Con le ali scassate,
finte, da terra ho sempre lo sguardo rivolto verso il cielo, verso il
sogno. Immagino case come astronavi, decolli impossibili verso universi
migliori, verso altre possibilità di vita. Il volo è quindi una fuga, un
viaggio immaginario verso mondi lontani. Sono fondamentalmente una grande
sognatrice: da piccola mi dicevano che avevo sempre la testa tra le nuvole, e
così sono rimasta.
In un post, riferendoti a Ray Bradbury, hai scritto che a volte sono gli scrittori a sceglierti. Bradbury è un autore che citi spesso. Come lo hai scoperto e cosa ti colpisce nella sua scrittura?
Amo Bradbury perché non parla semplicemente di spazio, di astronavi, di altri pianeti, ma i suoi racconti sono molto profondi e toccanti, sono pregni di un’umanità disastrata, di solitudini. I suoi racconti mi hanno stimolata molto e continuano a farlo. È lui che ha ispirato le mie case-astronavi, il mio essere come un extraterrestre in una bassa parmense, desolata come potrebbe essere Marte. E mi piace pensare che sia stato lui a scegliermi, impietosito dal mio arrabattarmi su questa terra. “Tieni” - mi ha detto -” usami, e chissà che alla fine poi tu non ci riesca a…”
Un altro autore molto presente nelle tue letture è Dino Buzzati …
Di Buzzati ho letto tutto, è un autore che mi ha accompagnata per tanti
anni e che tutt’ora tengo sul mio comodino, come fosse un Vangelo. “Il deserto
dei Tartari” è uno dei miei romanzi preferiti, da leggere e rileggere. Per me scrive
benissimo, è un visionario, un poeta. C’è tanta malinconia nel suo scrivere: il
tema del tempo che passa, delle occasioni perse, di quello che ci sarà dopo. Le
sue sono riflessioni profondissime sulla vita e parla di temi che sento
tantissimo anche io.
I tuoi video sono ambientati in minuscoli spazi – talvolta un armadio o lo scorcio di una vasca da bagno – oppure, al contrario, nella vastità della campagna padana. Quest’ultima talvolta diventa lo sfondo per personaggi solitari come il poeta o l’angelo, o per una donna elegante e malinconica che si muove fra le spighe. Come scegli le tue ambientazioni?
Per raccontare, mi serve un
teatro, una dimensione fuori dall’ordinario. Quando metto in scena delle storie,
mi servono le scenografie, i costumi, la musica, le luci: tutte cose che non ho,
e quindi mi affido all’immaginazione. La campagna che mi circonda - se uso i
suoni giusti, le musiche adatte - diventa ciò che voglio: spesso è un mare in
cui navigare, o un deserto in cui peregrinare e riflettere. Altre volte il fondo
nero di una stanza, oppure un abito, un trucco, una luce soffusa - insomma tutto
ciò che rimandi altre dimensioni - sono sufficienti a creare l’atmosfera. Spesso
sono proprio i testi ad ispirarmi nella scelta degli ambienti, ma anche le
musiche hanno un ruolo estremamente stimolante e visionario. Ultimamente ho
ascoltato le musiche dei Bauhaus - un gruppo post punk/ gothic rock degli anni ’80:
si tratta di musiche molto cupe, che mi hanno fatto ricordare un romanzo di
Shirley Jackson, “L’incubo di Hill House”.
Insomma la fantasia viaggia ed è così che comincia un nuovo viaggio ….
E un altro viaggio ancora, per un angelo sempre pronto ad attraversare le molteplici realtà possibili. E ad ogni avventura, qualcosa resta impigliato fra le sue ali: nuove idee, nuovi inizi, nuove storie da portare sulla terra.
I video e le letture di Chiara Maini sono sul suo profilo Instagram @chiarapittrice


