Intervista a Barbara Rigon - a cura di Camilla Ugolini Mecca

 

La magia che vive dietro le quinte

B_in_Paris   

©Barbara Rigon

Barbara Rigon è una fotografa raffinata, attenta, rigorosa. Ho avuto il privilegio di collaborare con lei in passato e ne ho potuto constatare la sensibilità, la cultura, la capacità rara di cogliere istanti irripetibili, di sapere entrare nei diversi contesti e al contempo di muoversi delicatamente lungo il loro perimetro.

Ecco di seguito il nostro dialogo.

Da dove cominciare, Barbara? Il tuo portfolio è così vasto ed eterogeneo! Spazia dai ritratti alla botanica, dal cibo ai giochi di strada… Dunque, partiamo da un tuo antico amore: la musica. Mi sembra che tu abbia iniziato proprio da lì, fotografando i musicisti e la loro gestualità. Cosa ti ha portata a fotografare la musica, e in particolare il jazz?

Sì, il primo amore è stato quello per la musica. Ho iniziato a scattare le prime foto ai tempi del liceo: in quel periodo studiavo musica - la mia prima vera passione, in particolare, è stata quella per il jazz, che mi ha trasmesso mio fratello. A Verona all’epoca c’era un concerto o una jam session ogni sera e sono stata naturalmente attratta da quei jazz club oscuri e fumosi (quando si poteva fumare ancora nei locali!), frequentati da musicisti bravissimi e per me affascinanti. È stato quindi istintivo unire le mie due passioni per la fotografia e per la musica, e ho iniziato facendo i primi esperimenti con quel tipo di soggetti che si prestavano perfettamente allo scopo. Non essendo diventata una musicista, credo di aver sempre voluto mantenere una certa vicinanza con quel mondo, farne parte, raccontandolo con le immagini.

Wynton Marsalis 

©Barbara Rigon

Marc Ribot 

©Barbara Rigon

 

Anche il teatro è molto presente nei tuoi lavori, con tutto quello che esso contiene: le scene, gli spazi, gli attori e il loro camuffamenti. In particolare, hai collaborato a lungo con Bam!Bam!Teatro e con la Fondazione Aida di Verona. Puoi parlarci di queste esperienze? E in che modo fotografare gli attori differisce, per te, dal fotografare i musicisti?

Anche al teatro mi sono avvicinata fin da ragazzina, soprattutto grazie ad alcune frequentazioni della mia famiglia. Ho lavorato per molti anni con Fondazione Aida, vivendo la creazione di moltissimi spettacoli: ho macinato un sacco di km di tournée e avventure, ho avuto incontri e esperienze tra le più belle della mia vita. Poi nel 2014 con alcuni compagni di avventura, si è deciso di fondare Bam!Bam!Teatro, una compagnia di teatro per ragazzi che ha sede a Verona ma che gira in tutta Italia, riscuotendo grandi successi.

Il Taccuino di Simone Weil  

©Barbara Rigon/Bam!Bam!Teatro

 

Il teatro è una scuola di vita, è un lavoro corale. Lavorando nella compagnia, vivo i momenti della preparazione dello spettacolo. Quello che mi piace è che si lavora in sinergia con gli attori, il regista, i tecnici. Il privilegio del mio lavoro è vivere ciò che accade dietro le quinte, la parte nascosta. E poi quando lo spettacolo è pronto, il mio occhio è lì, attento a seguire i movimenti, le parole, le espressioni, così come le emozioni, i cambi luce, i movimenti scenici, e nonostante la preparazione bisogna sempre essere pronti all’imprevisto e all’improvvisazione.

Moby Dick

©Barbara Rigon/Bam!Bam!Teatro

 

Quel momento è una magia, un’emozione indescrivibile, che si esprime in un’ora di spettacolo, ma che si porta dietro tutta l’energia di settimane di prove: è questo che cerco di trasmettere attraverso le immagini. Nella musica è un po’ diverso, forse è il tempo che crea questa differenza. Quando fotografo un concerto, si gioca tutto su quel preciso momento: a volte conosco i musicisti, quindi la sintonia è più profonda; altre volte il gioco sta proprio nel fatto di studiare sul momento le espressioni di un nuovo musicista, e il rapporto che ha con gli altri musicisti sul palco. Quando poi invece ho l’opportunità di lavorare durante il soundcheck o meglio ancora in studio di registrazione, si torna all’atmosfera del ‘dietro le quinte’. C’è la preparazione, il momento del confronto, si prova e si riprova finché non è tutto come lo si vuole, si aggiusta, si cambia, si scherza, si discute anche! Ed è bellissimo poter spiare quello che accade. Diventare invisibili e poter raccontare quella storia che è solo lì, in quel preciso momento. Ecco, il tratto comune tra teatro e musica nel mio lavoro è il controllo dei miei movimenti in sintonia con quello che accade sulla scena, come in una danza: i miei occhi devono portare attenzione ben oltre il mirino della macchina fotografica. Ma soprattutto è importante essere flessibili ed essere in l’ascolto con quello che accade intorno: l’ascolto dei suoni e delle parole, ma anche di quello che non si dice o non si suona, di quello che c’è in uno sguardo, in un gesto…

Vinicio Marchioni

©Barbara Rigon/The Creative Brothers


Dalle foto ai libri: i due volumi di “Camerini” - pubblicati da Bakerei Edizioni – sono esplorazioni fotografiche e al contempo narrative di “quelle camere di compressione e comprensione” in cui gli attori lasciano “i loro panni “civili” per prepararsi al rituale”. Come è nata l’idea di questi testi?

Questa ‘collanina’ delle Backerei Edizioni è nata partendo dalle foto di alcuni camerini realizzate da Lorenzo Bassotto, attore, regista e direttore artistico di Bam!Bam!Teatro durante le sue tournée, mentre io mi sono occupata dei ritratti degli artisti. Con Lorenzo è nata l’idea di proporre ad artisti, attori, musicisti che frequentano lo spazio del camerino, di fare una riflessione su questo luogo, tra ricordi ed esperienze vissute. Nel primo libretto, Cesare Picco, amico e collaboratore di Bam!Bam!Teatro - per cui ha scritto le musiche dello spettacolo “Moby Dick” - ci racconta un ricordo del suo primo camerino. Nel secondo, durante una tournée di passaggio a Verona, Toni e Peppe Servillo si sono resi disponibili a raccontarci il loro particolare rapporto con il camerino. Purtroppo per il momento non c’è stato un seguito, ma non ci poniamo limiti!

Lorenzo Bassotto

©Barbara Rigon/Bäckerei Edizioni

 


Peppe e Toni Servillo

©Barbara Rigon/Bäckerei Edizioni

 

Un’altra idea molto interessante è quella di “Cartoline”, nelle due edizioni del 2020 e del 2023: due testi nati dalle corrispondenze fotografiche tra te e l’artista Didier Ferry. Come si è sviluppato questo dialogo per immagini?

L’idea di “Cartoline” è nata in solitaria, attraverso una serie di istantanee che spedivo virtualmente sui social da luoghi che mi capitava di vedere durante i miei viaggi o semplicemente nella mia quotidianità, seguendo alcune regole estetiche di simmetria e composizione. Questo mio divertissement ha suscitato l’interesse di Didier Ferry, un grande fotografo francese che conosco da molti anni, il quale all’inizio mi rispondeva in privato con alcune sue cartoline che trovavano un’attinenza con le mie. Da qui la sua idea di farne un progetto condiviso e un libro: una vera e propria corrispondenza per immagini, che risuonano per analogia, o antitesi, per cromatismo o per composizione, ma sempre con l’idea del gioco. In piena pandemia, siamo riusciti a stampare il primo libro e in seguito a questa fortunata pubblicazione quest’anno abbiamo deciso di realizzare un secondo volume, con la medesima struttura ma con nuove storie.

Cartoline

©Barbara Rigon/Didier Ferry

Tra i tuoi progetti più recenti, ce n’è uno a cui tieni particolarmente?

Sicuramente un lavoro bellissimo che sto portando avanti con Aga - l’Associazione Giochi Antichi - e che mi ha occupata negli ultimi due anni. Si tratta del progetto “Cibo&Gioco” che si sviluppa all'interno di un percorso di ricerca più vasto, il “Geoportale della Cultura Alimentare”: si tratta di un’importante opera di raccolta, produzione e divulgazione di dati di cultura etnoantropologica legati alla tematica del cibo, ideato e gestito dall'Istituto Centrale per il Patrimonio Immateriale (ICPI) del Ministero della Cultura. 


 Punta e Cul

©Barbara Rigon/AGA - Associazione Giochi Antichi/GeCa - Geoportale della Cultura Alimentare

 

Insieme ad Aga - con cui collaboro da molti anni in merito alla documentazione del gioco tradizionale - abbiamo realizzato materiali audiovisivi - sia fotografici, sia video - per raccontare dieci comunità di gioco in Italia la cui pratica è legata al cibo. È stata un'esperienza incredibile, lì mi sono davvero messa alla prova convogliando tutte le mie conoscenze tecniche, senza dimenticare l'empatia e la flessibilità acquisita nei vari ambiti che ho sperimentato negli anni. Ho fatto viaggi di ricerca e incontri memorabili, resi ancora più indimenticabili grazie al gruppo di lavoro con cui ho avuto la fortuna di collaborare. Un regalo prezioso. Spesso il lavoro del fotografo è un lavoro solitario, ma io sento di crescere davvero professionalmente e umanamente quando posso condividere la mia professione con altre persone, anche se hanno ruoli e esperienze diversi dai miei. 

 


Lancio del Maiorchino

©Barbara Rigon/AGA - Associazione Giochi Antichi/GeCa - Geoportale della Cultura Alimentare

  

Tu hai viaggiato molto e hai vissuto in luoghi diversi. Cosa pensi del modo in cui viene accolta e recepita la fotografia d’autore in Italia, rispetto ad altri Paesi?

La mia esperienza si divide soprattutto tra Italia e Francia, e devo dire che in Francia c’è molto più interesse e rispetto per il lavoro fotografico. Forse negli ultimi anni anche in Italia si è cercato di dare più spazio alla fotografia, con mostre e pubblicazioni anche indipendenti di giovani artisti, ma qui siamo ancora abituati molto male purtroppo, e mi riferisco al fatto che spesso non viene riconosciuto il valore intrinseco a questo mestiere, che anzi viene dato per scontato o minimizzato. Sicuramente in Francia sono storicamente più abituati a valorizzare questo tipo di espressione artistica, anche nel mondo della musica e del teatro - due ambiti in cui ho lavorato maggiormente anche là. Vi trovo ancora grande rispetto per il fotografo e per il suo lavoro. Questo spesso in Italia manca ed è una cosa che mi dispiace molto.

Se dovessi rispondermi d’istinto, senza pensare, qual è l’aspetto del tuo lavoro che ami di più?

Gli incontri, questo è il dono più prezioso che mi regala il mio lavoro.

 

Barbara Rigon da molti anni lavora come fotografa professionista e videomaker in ambito artistico, collaborando con strutture teatrali e culturali, musicisti nazionali e internazionali, pubblicando su riviste in Italia e all’estero e realizzando reportage foto-giornalistici per varie riviste e progetti culturali.

www.barbararigon.com








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